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Danze diplomatiche tra USA e Cina: Il Ritorno dei Panda e le Sorprese Finanziarie

Mercoledì sera, a San Francisco, si è consumato un incontro di portata globale: il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il leader cinese, Xi Jinping, hanno trascorso 4 ore in discussione. Questo potrebbe segnare il primo passo verso un disgelo delle relazioni diplomatiche tra le due superpotenze.


Il vertice ha prodotto risultati concreti anziché mere dichiarazioni: le forze armate delle nazioni riprenderanno il dialogo, riparando alla tensione causata dalla visita di Nancy Pelosi a Taiwan lo scorso anno, che aveva portato alla sospensione della collaborazione cinese. Inoltre, la Cina ha accettato di limitare l’esportazione di determinati prodotti chimici in Messico, quelli utilizzati dai cartelli della droga messicani per sintetizzare il fentanyl.


Oltre a questi accordi tangibili, entrambi i leader hanno rilasciato dichiarazioni concilianti. Xi ha sottolineato che la Terra è abbastanza grande per entrambe le potenze, mentre Biden ha ribadito l’importanza di trovare un terreno comune per i reciproci interessi.


Ma l’aspetto più insolito è la promessa di riprendere a “prestare” i panda agli zoo americani. Sebbene possa sembrare una curiosità, la “politica dei panda” è un aspetto significativo della cultura cinese, spesso percepita come formale e simbolica dagli occidentali.

La cosidetta diplomazia dei panda è da sempre utilizzata dalla Cina. Questa foto è del 2017 e sembra di un secolo fa, poco prima la Cina aveva firmato un accordo miliardario con la Russia per la fornitura di gas e la Merkel ribadiva: “Vogliamo un accordo veloce sugli investimenti che un giorno potrebbe portare ad un accordo di libero scambio con la Cina”

Questi segni di avvicinamento non sono da sottovalutare: in Cina, l’anti-americanismo è un potente strumento di propaganda, mentre la personalità assertiva di Biden, che ha definito Xi Jinping un dittatore, rende ancora più sorprendente questo riavvicinamento.


Le ragioni dietro questo riavvicinamento potrebbero risiedere nella crisi economica interna cinese e nell’avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane del 2024. Nonostante i successi della Bidenomics, l’amministrazione è criticata per la gestione dell’inflazione. Un riavvicinamento con la Cina potrebbe contribuire a risolvere alcune delle problematiche, come la crisi della supply chain.


Il presidente e il leader cinese hanno poi partecipato a una cena con le 100 maggiori aziende tecnologiche americane (un posto al tavolo è arrivato a costare 5000 dollari), affrontando il tema spinoso delle tecnologie e di Taiwan. La Cina lamenta il bando di alcune tecnologie fondamentali, mentre gli Stati Uniti sono preoccupati del controllo cinese sui dati e del monopolio sulle terre rare.


Oggi ci sembra scontato che il più grande Paese comunista e il più florido paradiso capitalistico si facciano la guerra, ma non è sempre stato così, infatti dal 1972 le relazioni delle due nazioni sono andate via via migliorando, la diplomazia del Ping pong, per gli USA in funzione anti sovietica mentre per la Cina è servito per uscire da un lunghissimo isolamento internazionale (precedente anche all’ascesa di Mao).

Anche nel film Forrest Gump veniva ripresa la questione della diplomazia del Ping pong

Successivamente con l’arrivo al potere di Deng Xiaoping le relazioni migliorarono ulteriormente e proprio in quegli anni (1985) un giovane Xi Jinping sarà ospite di una famiglia statunitense dell’Iowa per fare ricerche sullo sviluppo agricolo statunitense, Xi nonostante la giovane età era già il segretario di partito dell’Hubei.

Un giovane Xi Jinping proprio a San Franscisco

Gli attriti a cui stiamo assistendo in questi anni sono una questione proprio recente ed hanno a che fare con la rapidità con la quale l’economia cinese si è sviluppata mantenendo un approccio autoritario a livello politico, quest’ultimo punto sorprendente per noi occidentali che identifichiamo il nostro progresso economico con quello dei diritti dell’individuo e vediamo le due caratteristiche come indissolubili.


Già con la presidenza Obama i rapporti si erano cominciati a raffreddare, ma nonostante tutto si era arrivati a risultati interessanti, come per esempio gli accordi sul clima di Parigi (immaginare accordi così importanti senza una delle due super potenze sarebbe impossibile), è con l’amministrazione Trump che le incomprensioni si tramutano in una vera e propria guerra commerciale, il presidente repubblicano ha infatti iniziato apportando una serie di dazi commerciali dal valore di 50 miliardi di dollari su prodotti cinesi rei di applicare pratiche commerciali scorrette, quindi la Cina rispose apponendo altri dazi commerciali su prodotti importati dagli Stati Uniti, la de globalizzazione a cui stiamo assistendo è stata solo accelerata dal Covid, ma è qui che vede la sua alba.


Chi pensava che il ritorno di un presidente democratico (e meno scostante del precedente) avrebbe riavvicinato i due contendenti non aveva nè considerato i risvolti profondi di questa guerra, nè aveva ben capito il nerbo di Biden.


Le guerre commerciali altro non sono che iniziative di stampo protezionistico dove con l’introduzione di dazi doganali (quindi sovrattasse) di vogliono svantaggiare le importazioni di determinati beni da determinati Paesi.


Non è stato infrequente, anche se non è la regola (un esempio è la guerra commerciale tra Germania e Polonia del 1925 che fu il primo passo nell’ escalation tra i due Paesi), che guerre iniziate come commerciali si sia tramutate in guerre calde.


Queste “guerre” rispetto a quelle con le armi non hanno impatti recessivi diretti sulle economie dei vari Paesi, infatti la diminuzione delle importazioni stimola la produzione interna che con una velocità variabile arriva a colmare ciò che manca.


La vera problematica è che rallenta la crescita economica, infatti alla base degli scambi vi è il concetto di risparmio competitivo, se il Paese X produce bulloni (per fare un esempio) al costo di 20 € al quintale quando il prezzo dei bulloni del Paese y è di 10 € allora il Paese X sceglierà di non produrre bulloni ma di acquistarli da un altro Paese e concentrarsi sulla produzione in cui riesce ad avere un vantaggio competitivo. Questo modo di fare commercio è alla base dell’attuale mondo globale e a conti fatti ha comportato una accelerazione sempre maggiore del progresso tecnologico.

Un esempio di guerra commerciale che ha portato problematiche consistenti economiche senza comportare nè guerre, nè recessioni è stata la guerra commerciale tra Irlanda e Regno Unito degli anni ‘30 del secolo scorso portata avanti dagli irlandesi al grido di: bruciate tutto ciò che è inglese, tranne il loro carbone!


Dal punto di vista finanziario questo riallacciarsi dei rapporti tra Stati Uniti e Cina potrebbe dare una boccata d’ossigeno a quei portafogli sovrappesati sulla Cina e a tutti quei fondi sui Paesi emergenti che da sempre hanno molte aziende cinese.

Dal 2021 Hong Kong, la porta mondiale del mercato cinese, è in bear market. La linea azzurra sottile è la media mobile e come si vede bene anche la sua recente rottura non ha dato un reale segnale di inversione.

Ma non solo la Cina nè risentirebbe positivamente, anche tutto l’universo delle aziende tecnlogiche non big (non le magnifiche 7 giusto per intendersi) potrebbero avere un impulso positivo da questa de escalation.

Questo grafico riporta in maniera eloquente quanto la performance degli indici americani sia influenzata da pochissimi titoli e quanti per tutti gli altri ci siano ancora buoni margini di crescita

Inoltre se torneranno a circolare i capitali questo potrebbe mitigare la fly to quality verso i titoli di stato americani, mantenendo il mercato in un ottimo equilibrio sia per l’investitore obbligazionario che per quello più aperto al rischio, andando in questo modo a ridurre  la volatilità media del mercato.


In conclusione, l’importanza di una diversificazione globale rimane cruciale. Mentre la politica dei panda ritorna in scena, gli investitori dovrebbero rimanere attenti ai risvolti finanziari di questo riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina.

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