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GESTIONE ATTIVA O PASSIVA? SPOILER: NON È UNA RELIGIONE

Negli ultimi vent’anni, il dibattito è diventato sempre più acceso. I numeri parlano chiaro: la gestione attiva, nel suo complesso, fatica a battere i benchmark di riferimento.



Secondo SPIVA (S&P Indices Versus Active), la percentuale di fondi attivi che battono il proprio indice cala drasticamente nel tempo. Su orizzonti di 1 anno, ci sono anche casi in cui il 40-45% dei gestori riesce a fare meglio (come nel 2022), ma a 5 anni scendiamo spesso sotto il 20%, e a 10 anni i sopravvissuti sono ancora meno. Su 15 anni, la percentuale di fondi attivi che batte il benchmark negli Stati Uniti è attorno al 10%. E questo dopo i costi.


Sì, perché qui va fatta una distinzione fondamentale: una parte dei gestori attivi riesce effettivamente a creare valore rispetto al mercato.


Il problema è che i costi di gestione – mediamente superiori rispetto agli strumenti passivi – tendono ad annullare o addirittura ribaltare quel vantaggio. Una piccola differenza di rendimento annuale (ad esempio un 0,8% in meno) può sembrare trascurabile, ma nel tempo diventa una zavorra significativa.


E qui arriva il primo grande paradosso: più masse affluiscono verso un fondo attivo vincente, più il gestore sarà costretto a diluire la propria strategia, comprando titoli meno attraenti per gestire i flussi, e tendendo quindi a replicare – volente o nolente – l’andamento del mercato. È il motivo per cui anche i migliori, nel tempo, tendono a “normalizzarsi”.


E poi c’è il problema della persistenza: i fondi che hanno sovraperformato in passato non sono necessariamente quelli che lo faranno in futuro. È difficilissimo, per un investitore, identificare oggi il vincitore di domani. La rotazione nella classifica dei migliori è continua.


La gestione passiva, in questo contesto, è diventata la risposta standard: costa poco, è trasparente, semplice da comprendere. Ma attenzione: anche un ETF ha un costo, e anche l’investitore autonomo ha un “costo nascosto”: il tempo necessario per formarsi, informarsi, aggiornarsi. Nessuna scelta è gratuita.


E se non si vuole fare da soli, entra in gioco il ruolo della consulenza. Il costo della consulenza è il prezzo per non pagare (troppo) l’errore. È un’alternativa al fai-da-te che ha senso se il consulente riesce ad aiutarti nel percorso e non solo nello scegliere un ISIN. Il percorso di investimento si compone di tante cose, che vanno anche oltre lo strumento del momento.


Ed è inutile nascondersi ad oggi i fondi attivi nascondono tra i costi anche quello della consulenza che quindi è già li.


Queste indicazioni sono comunque vere per la situazione sui mercati ad oggi, non sappiamo mai cosa potrebbe succedere domani. In finanza gli eventi estremi e bizzarri non sono così infrequenti.


La strategia va pesata per il momento di mercato che stiamo vivendo: coi tassi a zero aveva poco senso presidiare il mondo bond governativi o investment grade, che invece avevano regnato nel decennio precedente (quello “perduto”, con i tassi in caduta e due crisi devastanti nell’azionario); o ancora l’Europa del dopo Brexit sembrava un deserto e invece la ritroviamo sopra agli USA negli ultimi tre anni.


Nulla è scritto nella pietra: quello che conta sono gli obiettivi da raggiungere. La strada e gli strumenti per affrontarla in comodità cambieranno e dovremo essere ricettivi per garantirci il percorso migliore.


Ci sono però aree in cui la gestione attiva conserva un suo spazio d’azione: nei mercati meno efficienti.


Pensiamo alle small cap, dove la copertura analitica è bassa e le inefficienze sono ancora presenti.

O ai fondi obbligazionari flessibili, capaci di muoversi tra scadenze, duration, emissioni e valute.

O ancora i REITs (immobiliare quotato) e i mercati emergenti, dove gli ETF spesso sono troppo esposti ad alcune geografie o settori.


In sintesi: non si tratta di scegliere una religione, ma un approccio. Capire cosa si sta facendo e perché.


Il vero cuore dell’investimento non è lo strumento, ma l’obiettivo. Il viaggio finanziario è spesso un saliscendi emotivo: paura, euforia, dubbio, pazienza. Quello che serve è una strategia che ti permetta di stare investito, evitare di farti fregare dalle emozioni e sapere che ogni strumento ha un ruolo in base alla fase della tua vita, ai tuoi obiettivi e al contesto.


Ed è proprio qui che la consulenza può fare la differenza: nel disegno complessivo, più che nella scelta tra attivo e passivo. Perché la verità, alla fine, è che un portafoglio ben costruito è una sintesi intelligente di entrambe le anime.

E tu, quale anima vuoi far prevalere?

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Marco Clementi

marco.clementi@spinvest.com

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©2024 by Marco Clementi. Iscritto in data 30/05/2022 all’Albo Unico dei Consulenti Finanziari, con delibera OCF n. 1924

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