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L’equilibrismo della BCE

Questo quadro di Chagall che si può ammirare in Costa Azzurra, ripropone uno dei temi classici della sua produzione, il circo. Oggi la BCE si trova in un equilibrio instabile, come un trapezista disturbato da un orgia di circensi

La notizia della settimana, in campo economico, è stata la scelta del board della BCE di non ritoccare all’insù il costo del denaro, restato fermo al 4,5%, si tratta del primo stop dopo 10 aumenti consecutivi, un ritmo che la giovane banca centrale non aveva fino ad ora conosciuto.

Questa impennata nei tassi, basti pensare che prima di luglio 2022 i tassi erano a 0, merita un passo indietro per cercare di capire come mai siamo arrivati a questo punto.

Si può notare come l’aumento sia stato il più pronunciato di sempre, ma non è il tasso massimo mai sperimentato in Europa, però allo stesso tempo c’è da dire che nei primi 2000 la crescita europea si attestava negli intorni del 4%

La BCE è un organo collegiale che ha l’obiettivo esplicito di mantenere stabili i prezzi e questo viene reso possibile dalla possibilità esclusiva di autorizzare l’emissione di nuova moneta e il compito di fissare i tassi di interesse (in realtà sono tre: quello di rifinanziamento principale, quello marginale e il tasso sui depositi presso la banca stessa).

L’oracolo di Delfi era tra i più importanti templi della Grecia antica e raccoglieva pellegrini da ogni angolo del mondo conosciuto

Tra gli strumenti di soft power in possesso della banca vi è la forward guidance, definita anche la modalità oracolo, si tratta di dichiarazioni pubbliche, più o meno vincolanti, prodotte con lo scopo di mostrare ai mercati in maniera chiara quali saranno le prossime politiche della Banca, cercando in questo modo di dipanare l’incertezza e dare maggior fiducia ai mercati finanziari.

Questo è un fotogramma tratto dal celebre discorso di Draghi che salvò l’euro. Dalla sua brevità si capisce come le semplici parole erano sorrette da un autorevolezza molto elevata: the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the Euro. And believe me it would be enough.

Questo è stato uno degli strumenti maggiormente utilizzati dal precedente governatore della BCE: Mario Draghi.


Oggi il ruolo del presidente è svolto da Christine Lagarde, già presidente del fondo monetario internazionale ai tempi della Troika, e possiamo affermare che il cambio di presidenza si è particolarmente sentito, oltre agli evidenti errori (sia di comunicazione che di analisi) anche nella maniera di dirigere il ruolo della BCE.


La storia recente degli aumenti di tasso parte proprio da un grave errore di analisi commesso all’inizio della ripresa inflazionistica ossia nel 2021, cioè il ritenere l’inflazione come un evento transitorio e di breve durata.

Il tutto è iniziato in estate quando Lagarde comunicò a tutti che l’obiettivo di un inflazione al 2% non doveva essere più inteso come un ancoraggio a tutti i costi a quel valore ma ad un valore tendenziale e maggiormente elastico, questo perchè appunto l’inflazione sarebbe dovuta essere transitoria e si sarebbe riassorbita a breve.


Concetto ribadito anche in diretta televisiva intervistata da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, Fazio stesso gli elenca i rincari avvenuti in tutti i Paesi industrializzati e gli chiede se può tranquillizzare la popolazione e Lei risponde che: “si penso che l’inflazione di questi giorni sia legata sopratutto ad una serie di fenomeni temporanei, il più importante è il rincaro dell’energia, che l’Italia subisce particolarmente…e fenomeni di approvvigionamento energetico…questi fenomeni spiegano come non si tratti di fenomeni strutturali di lunga durata e quindi siamo quasi certi che questi fenomeni spariranno” a queste certezze su sollecito di Fazio la Presidente diede anche un termine temporale: “nel 2022 ci saranno dei cambiamenti significativi…con l’esaurimento della domanda di recupero (nel periodo covid)…questo fenomeno sfumerà”.


Naturalmente Lagarde non era la sola a pensarla in questa maniera, il suo omologo americano era dello stesso avviso, ma la francese risulta maggiormente rigida in un contesto economico nettamente differente (molto più eterogeneo) rispetto a quello di Powell. Questo approccio ingessato lo notiamo anche ai giorni nostri, con l’espressione granitica nel mantenere i tassi a livelli elevati per un tempo indefinito ma sicuramente lungo.


Sui problemi di comunicazione non mi dilungo molto, basti però ricordare che le sue parole in pandemia (“la banca centrale non ha l’obiettivo di ricucire gli spread”) portarono al maggior scossone che le borse europee ricordino (peggio di Lehman e peggio di Brexit) borsa italiana (la peggior piazza) chiuse a -17% da quel giorno in avanti ogni speech della presidentessa è visto come ragione di turbolenza e incertezza dai mercati.


L’incertezza è stata anche aumentata dall’abbandono nell’utilizzo della forward guidance, infatti ogni riunione viene chiusa dall’ormai classico: il nostro operato è data oriented e non possiamo dire per quanto tempo la linea della BCE resterà la medesima.

L’impatto di questi 10 aumenti consecutivi lo stiamo notando solo in questi mesi, tra le notizie maggiormente riprese dalla stampa è proprio di questi giorni il calo nelle concessioni dei mutui ipotecari che scendono ormai dall’ultimo trimestre del 2021 arrivando al drammatico 2023: -26% di mutui nel primo trimestre rispetto all’ultimo del 2022 e -33% del secondo trimestre rispetto al primo. Il calo è sia nella domanda, molte persone sono scoraggiate dall’ indebitarsi a questi tassi, che nell’offerta, molti istituti hanno aumentato le richieste di solidità nelle controparti.

Naturalmente il mercato dei prestiti ipotecari influenza in maniera diretta quello delle compravendite immobiliari che in questo anno si sono contratte del 16%.


Questo ritardo nel rallentamento economico (o comunque negli acquisti a debito) è classico e da ricondurre ai meccanismi con i quali la politica monetaria si trasmette all’economia “reale”. Infatti la trasmissione dei tassi dall’istituzione ai privati (ricomprendendo anche le aziende) avviene in maniera più lenta sia per necessità dovute alla domanda di credito sia perchè in parte è influenzata dalle aspettative sul futuro andamento dei tassi (in questo senso la mancanza di una forward guidance autorevole ha fatto si che i tassi a lungo termine si siano adeguati in maniera molto più lenta).


Il problema della Bce oggi è proprio quello di non essere riuscita in maniera tempestiva a raggiungere l’obiettivo desiderato e inoltre agire in un contesto economico debole (per ragioni che hanno più a che fare con il cambiamento dell’economia globale, dovuto all’instabilità di questi ultimi anni), ed oggi il percorso che la banca centrale può seguire si fa sempre più stretto, da un lato c’è il problema che potrebbe essere legato ad ulteriori aumenti nei tassi di interesse.

Come scritto sopra l’incidenza su aziende e privati di tassi di interessi elevati è influenzata anche dalla necessità di credito e se da un lato gli investimenti si possono accantonare dall’altro il rifinanziamento del proprio debito non può essere eluso e le aziende europee sono fragili oggi : nel 2024 dovrà essere rifinanziato il 24% del debito privato europeo.

Jean Claude Trichet è stato presidente della BCE dal 2003 al 2011

Pensando a questo punto torna alla mente il cosiddetto Trichet Moment: nel 2008 poco prima della deflagrazione della crisi mondiale quando il presidente di allora Jean Claude Trichet (francese anche lui) decise che fosse necessario aumentare i tassi per scongiurare un aumento inflazionistico dovuto ai costi energetici, solo che l’inflazione calò da sola, abbattuta dalla più grande crisi finanziaria della storia e l’Europa venne zavorrata da quella decisione di aumentare i tassi di interesse, il problema vero è che questa scelta venne riproposta 3 anni più tardi, sempre con Trichet presidente e anche questa volta nel mezzo di una crisi impattante, quella dei debiti nazionali, questa volta gli scossoni prodotti anche dagli aumenti dei tassi hanno quasi portato alla disgregazione dell’Euro. A volte la storia non insegna.

I paralleli rispetto a quelle volte sono diversi: bassa crescita e inflazione partita in maniera esogena.


Ma veniamo all’altra possibilità che ha la BCE, mantenere i tassi allo stesso livello o diminuirli, anche questa foriera di problematiche.


In caso di cambio di rotta due sarebbero le principali problematiche: la prima ha a che fare con la autorevolezza della Banca, il rischio è quello che i mercati non rispondano più alle sollecitazioni dell’istituto così facendo depotenziando e limitando gli strumenti utilizzabili in futuro.

La seconda criticità ha a che fare con il mondo che circonda l’area europea, perchè se è vero che la BCE è un ente indipendente politicamente non è certo indipendente rispetto alle scelte degli altri attori economici e frenare con gli aumenti dei tassi in un mondo che continua ad aumentarli potrebbe comportare un rischio per il valore della moneta unica e quindi per il potere di acquisto dei suoi cittadini, la competitività delle sue aziende e per una nuova ondata inflazionistica dovuta agli aumenti delle importazioni, infatti gli USA sono in una condizione economica nettamente diversa rispetto al vecchio continente (forte crescita dei consumi e piena occupazione) e potrebbero avere interesse a raffreddare l’economia.

Ad oggi il mercato si aspetta che sia in ogni caso esaurita la spinta all’aumento dei tassi americani, ma queste proiezioni sono state smentite nel corso dell’ultimo anno

In supporto a questo scenario viene un caso reale a cui stiamo assistendo, la bank of Japan che a differenza di tutte le altre banche centrali non è andata ad aumentare i tassi ciò ha portato il biglietto verde ad apprezzarsi verso lo Yen di oltre il 30% dalla fine del 2020 a oggi era dalla fine degli anni ‘80 che la moneta nipponica non valeva così poco.

Queste criticità unite ad atteggiamenti sbagliati da parte della BCE rendono il terreno futuro molto scivoloso con ampie possibilità di sbagliare qualsiasi potrebbe essere il percorso che il direttivo deciderà di seguire; questo fa notare anche quanto la costruzione dell’area Euro (se pensiamo ad una costruzione degli Stati Uniti d’Europa) è ancora molto debole, l’azione della banca centrale poteva essere più incisiva se supportata da politiche fiscali scritte in armonia, invece ogni Stato ha creato politiche che compiacessero il proprio elettorato, solitamente pro cicliche, stimolando l’inflazione invece di combatterla (da noi basti pensare a quota 100, bonus edilizi, taglio delle accise, tutte misure universali, fatte senza dare un reale supporto ai soli bisognosi. Ma anche gli altri Paesi si sono comportati in maniera simile, vedi i contributi tedeschi contro il caro energia).


Da un punto di vista finanziario queste decisioni impattano in maniera rilevante i portafogli di ogni investitore.


Oggi siamo in uno scenario di cambiamento in cui diremmo che cash is the king, infatti nel corso del 2022 nessuna componente che non fosse il monetario o il brevissimo termine ha retto l’impatto degli aumenti di tassi, le obbligazioni sono in discesa da ormai 3 anni consecutivi (cosa mai vista nella storia, ma nemmeno si erano mai visti i tassi sotto zero) mentre le azioni hanno mostrato maggiore resilienza, ma anche in questo comparto si è notato come i risparmiatori hanno premiato le azioni a maggior capitalizzazione che sembrano un porto sicuro in momenti turbolenti.

TINA è un acrononimo inglese per There is no alternative, portato in voga dalla Thatcher negli anni ‘80 per intendere che non esistessero alternative al modello politico liberista di cui Lei e Regan erano in quegli anni i massimi esponenti. Oggi sappiamo che non era vero che non ci fossero alternative, la caduta del muro di Berlino, le crisi economiche succedute, hanno cambiato il mondo, che non essendo più lo stesso non poteva veder applicate le stesse ricette.

Il nuovo paradigma di mercato ha abbandonato la logica T.I.N.A. (There is no alternative) ossia un mondo dove l’unico investimento sensato era quello in azionario. Chi oggi ha della liquidità sa’ di poter fare affidamento su buoni rendimenti obbligazionari, il che innescherà (non l’abbiamo vista ancora, ma sicuramente accadrà) la cosidetta fly to quality, ossia uno spostamento dagli asset maggiormente rischiosi a quelli per definizione più sicuri (da azionario ad obbligazionario, da HY a IG).

Qui si nota come il buon andamento del S&P da inizio anno sia in realtà imputabile a poche società quelle più grandi, mentre la stragrande maggioranza dei titoli si trova in territorio negativo

Per quel che riguarda l’azionario ad oggi è stato fortemente premiato il settore finanziario, ma bisognerà stare alla finestra per capire se effettivamente arriverà una recessione (ad oggi le possibilità sono basse) e allora l’unico investimento azionario in grado di reggere il colpo sarà quello dei consumi di prima necessità (consumer staples).


Ad oggi strutturare un portafoglio aumentando la duration di portafogli potrebbe essere vincente in un medio periodo, facendo attenzione a creare una strategia contraria, quando i mercati azionari scendono è giusto accumulare, perchè la lezione che le scosse di mercato ci insegnano è che noi acquistiamo valore, non prezzi, se questi scendono sono le nostre opportunità per avere ritorni maggiori.

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