top of page

L’ingiustizia dietro i vestiti che indossiamo

Aggiornamento: 14 mar

Questa settimana ci sono state massicce proteste a carattere sindacale in Bangladesh, i lavoratori e soprattutto le lavoratrici del settore tessile sono scesi in strada per chiedere consistenti aumenti salariali insoddisfatti delle promesse del governo.

Negli scontri tra manifestanti e le forze governative ci sono già state tre vittime.

Giusto per parlare di cifre il salario minimo previsto oggi nel settore tessile nel Bangladesh è pari a 70 dollari al mese i lavoratori chiedono di triplicarlo e con questo aumento non arriverebbe comunque ad essere pari alla media degli stipendi del Paese (240 dollari).


Ma per quale ragione sono importanti le proteste in Bangladesh, un Paese dall’altra parte del mondo per noi, nel settore tessile? Perchè il Paese in questione è il secondo produttore di vestiti del mondo (dietro solo alla Cina) e i le principali aziende che delocalizzano li sono quasi tutte occidentali e a noi conosciute (zara, H&M, Levi’s, decathlon, solo per citarne alcune).


I principali scontri si sono svolti a Dacca la capitale del Paese musulmano, se vi sta tornando in mente di qualche particolare problematica collegata a quella città e al settore tessile è perchè 10 anni fa proprio a Dacca un palazzo, il Rana Plaza, collassò su se stesso uccidendo 1129 persone e ferendone 2515. Una tragedia. Quel palazzo, in teoria adibito ad uffici, era affittato a più aziende tessili che lavoravano per esportare in occidente degli abiti.

Il 24 aprile del 2013 migliaia di operai evacuarono da quel palazzo per la presenza di crepe nella struttura, fu detto loro di rientrare perchè da “controlli” effettuati non risultavano rischi particolari, poche ore dopo gli otto piani del palazzo avrebbero sepolto migliaia di persone.

Nonostante la notizia fosse stata riportata dalle televisioni di tutto il mondo e avesse provocato molto sconcerto nell’opinione pubblica il settore tessile bengalese non è progredito in maniera sensibile e se volessimo allargare un po’ di più il nostro sguardo tutto il settore della moda non ha fatto passi verso una reale sostenibilità.

Ancora oggi resta uno dei settori a più alto impatto inquinante e dove lo sfruttamento salariale è più intensivo.

L’azienda che più di ogni altra rappresenta tutti i lati negativi della moda è Shein, azienda cinese divenuta in breve tempo leader della fast fashion, anzi nel caso di Shein si comincia a parlare di ultra fashion, la stessa riesce, sfruttando i dati sui consumi e le tendenze nel mondo della moda, a produrre nuovi modelli in solo dieci giorni e ogni quotidianamente vengono caricati 6000 nuovi prodotti.


Shein basa il suo successo (nel 2020 ha fatturato 20 miliardi di dollari) su questa continua offerta di nuovi capi unita a prezzi irrisori, il costo medio di un capo è di 11 dollari.


Tutto questo è possibile sfruttando il lavoro in ogni punto della filiera produttiva, partendo dalla materia prima: il cotone che viene coltivato nello Xinjiang (il 20% della produzione mondiale di cotone), sfruttando il lavoro forzato della minoranza etnica degli Uiguri, inoltre il cotone è di per se una materia prima ad alto impatto sull’ambiente, ha bisogno di molta acqua (in Uzbekistan lo sanno bene, il lago d’Aral che era il più grande del mondo è oggi ridotto ad essere un lago minore) e nel caso di produzioni intensive c’è la necessità di fare un utilizzo ingente di fertilizzanti e diserbanti che possono infiltrarsi fino nelle falde del terreno.

La storia del lago d’Aral ci racconta molto dello sfruttamento delle risorse naturali, i suoi immissari furono deviati per irrigare i campi di cotone in circa trent’anni si è praticamente esaurito. Essendo un lago salato la fauna è ben presto morta per L’aumentare della salinità e anche la vita delle persone è stata stravolta

Quando la materia prima arriva in una delle 700 fabbriche di Shein, vengono aggiunti tessuti artificiali derivati dal petrolio e fonti di microplastiche dopo ogni lavaggio; il lavoro è gestito su turni di lavoro massacranti (fino a 17 ore al giorno) con un solo giorno libero al mese, ogni lavoratore deve produrre 500 capi al giorni con una paga di 4 centesimi a capo.

Il prodotto finito viene commercializzato puntando molto sulla promozione social tramite influencer.

Nel 2022 Channel 4 ha fatto un servizio molto crudo su Shein e le sue strategie industriali, l’azienda ha risposto invitando 6 influencer in una fabbrica, fasulla, dove tutto era lindo e in regola. Col risultato finale che le influencer si sono dovute scusare per l’operazione di pulizia di immagine prestata all’azienda cinese.

Questo metodo di lavoro è quello più impattante e negativo, ma come scrivevo prima, tutto il settore della moda è sporco ed è responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, ogni anno vengono prodotti 80 miliardi di capi di vestiario che ben presto (ormai il ritmo di sostituzione degli abiti raggiunge l’anno) si trasformano in 2 milioni di tonnellate di rifiuti, in molti casi non o difficilmente riciclabili (vista la presenza di sostanze chimiche) che quindi o vengono bruciate o restano per secoli nelle discariche dei Paesi in via di sviluppo.

Anche la finanza sostenibile fatica nell’arginare o almeno indirizzare verso stili più virtuosi il settore della moda, infatti è difficile seguire tutta la filiera produttiva di un capo d’abbigliamento ed è quindi dovuta un attività molto intensiva e di engagement con le aziende partecipate, un caso esemplare in questo ambito è come Fidelity una delle più importanti SGR del mondo ha trattato Boohoo un azienda di fast fashion inglese, nonostante l’azienda godesse di rating elevati ESG Fidelity aveva identificato alcune problematiche: nessun programma di riciclo, indagini media in cui si parlava di fornitori sottopagati e infine una governace aziendale fortemente influenzata dal fondatore della società che metteva in dubbio l’indipendenza del consiglio di amministrazione. Quindi chiese all’azienda incontri per spiegare in quali maniere volessero affrontare le criticità senza ricevere risposte convincenti e decidendo quindi di assegnare un pessimo rating interno ESG e facendo quindi uscire la società dai portafogli sostenibili.

Arrivate al grande pubblico le notizie sullo sfruttamento del lavoro in Boohoo il prezzo delle azioni è rapidamente crollato

Anche l’Unione Europea ha inserito delle direttive per rendere il settore più sostenibile seguendo tre assi differenti: un design più ecologico, delle informazioni chiare per i consumatori (passaporto digitale), riduzione diretta delle emissioni di co2.

Il passaporto digitale del prodotto (dpp) racchiuderà tutti i dettagli dell’intero ciclo di vita di un prodotto e sarà visionabili scansionando un QR code

In conclusione considerando che l’80% della produzione tessile è destinata ai mercati privati, credo che una spinta verso la sostenibilità possa essere intraprese dalle scelte di consumo di ognuno di noi, puntare a sfruttare per più tempo i capi (scegliendoli quindi di qualità superiore) e favorendo il riciclo o l’economia circolare (il riuso dei capi).

29 visualizzazioni0 commenti

תגובות


bottom of page