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LA FOLLIA DELLA GUERRA

Aggiornamento: 15 mar

Durante Questa settimana nessuna notizia ha preso più spazio rispetto ai tristi avvenimenti arrivati dal sud di Israele.

Un attacco, da parte della milizia terrorista di Hamas, iniziato nella mattinata di sabato 7 ottobre.


Tutto è iniziato con una pioggia di razzi, oltre 5000, che partiti dalla striscia di Gaza puntavano verso i vicini insediamenti Israeliani. Lo Stato ebraico si è dotato da tempo di adeguate difese aree per abbattere i missili lanciati dai miliziani, ma a differenza delle volte precedenti l’attacco dal cielo è stato accompagnato da una avanzata di uomini a terra armati di kalashnikov.

Entrati in Israele da 29 punti differenti con ben pochi scopi: uccidere o mutilare e rapire il maggior numero di persone.

Alla fine della giornata si contano oltre 1200 morti e 2700 feriti, quasi tutti civili oltre al rapimento di più di 100 persone, che saranno usate dai miliziani come strumenti di una sadica propaganda o mezzi di scambio per la liberazione di altri terroristi.


Israele è completamente sconvolto, si è trattato del giorno in cui sono morti più israeliani da sempre. Nessuno si aspettava nè l’attacco nè l’impreparazione dell’esercito e dello spionaggio, da sempre definiti tra i migliori del mondo.

Insieme agli israeliani tutto il mondo è rimasto sgomento, anche perchè, come ormai tristemente noto, queste barbarie sono state accompagnate da video dove si vedono giovani palestinesi uccidere o brutalizzare cadaveri senza alcuna distinzione tra uomini, donne, bambini o anziani.

Un fermo immagine della fuga dei partecipanti al festival supernova pubblicato sull’account X del Jerusalem Post

Ogni singolo luogo ritorna una storia di pura violenza: i kibbutz rastrellati casa per casa, le persone uccise nei letti o arse vive, il rave party a Be’eri trasformato in un film dell’orrore.

Civili sfollati a Gaza, sullo sfondo la devastazione

Nelle giornate successive l’odio è stato restituito sotto la forma di un vendicativo assedio della striscia di Gaza (nella pratica un crimine di guerra, si tratta di staccare luce e acqua ad una zona tra le più densamente popolate del pianeta terra circa 6000 abitanti per km quadrato) e continui bombardamenti che sono riusciti soltanto a riportare in pari i conti dei morti civili. Già oggi sappiamo che questi giorni di violenze non faranno altro che prepararci a nuove future giornate di sangue, anche perchè per tantissimi in Israele e Palestina questa è la prima guerra che si trovano a fronteggiare (in Israele l’età mediana è di soli 29 anni, mentre nella striscia di Gaza il 40% della popolazione ha meno di 14 anni).

Un immagine della striscia di Gaza, si tratta di un lembo di terra grande due volte Milano e racchiuso da mura erette nei primi anni 2000, dal 2007 il territorio è governato da Hamas, una vittoria non arrivata solo col sostegno elettorale ma anche quello della armi. La sua popolazione è pari a 2,2 milioni di abitanti, di cui 1,5 milioni registrati come profughi

La storia degli scontri tra Israele e Palestina è ormai secolare, ma è da dopo la seconda guerra mondiale e dalla effettiva costituzione di uno Stato ebraico che il livello degli scontri aumentò non soltanto tra israeliane e palestinesi, ma tra i primi e tutto il mondo arabo che li circonda (Egitto, Giordania e Siria).

Una foto tratta dalla guerra dei sei giorni, in cui Israele riuscì con un attacco preventivo a sconfiggere in maniera inattesa Egitto, Siria e Giordania. Nella foto a sinistra il generale Moshe Dayan e il giovane comandante Ariel Sharon che diventerà successivamente uno dei leader politici più di destra, fino ad oggi.

L’unico modo che i contendenti trovarono per dirimere la problematica convivenza fu farsi guerra a vicenda, da qui derivò (ormai è lecito usare il passato remoto) il prestigio dell’esercito israeliano.

Gli atleti Israeliani che persero la vita durante il sequestro ordito da “settembre nero” il gruppo terroristico. Il nome è un riferimento ad eventi risalenti al 1970 in cui rifugiati palestinesi in Giordania cercarono di attuare un colpo di Stato e il Re giordano, fino a quel momento filo palestinese chiese prima aiuto agli USA che a loro volta lo chiesero a Israele

Una volta normalizzati (con la forza) i rapporti con i Paesi arabi, i movimenti di liberazione palestinesi (tra tutti il più importante l’OLP) iniziarono delle vere e proprie campagne terroristiche mondiali. Qui menzionerò solo la vicenda di Monaco del ‘72, quando durante le olimpiadi un gruppo terroristico sequestrò (praticamente in diretta televisiva) degli atleti israeliani, che finirono per essere uccisi tutti.

Rabin e Arafat che hanno contribuito agli accordi di Oslo, dietro di loro Clinton che in quegli anni si spese molto per essere mediatore della crisi medio orientale

Solo con l’inizio degli anni ‘90 si assistette ad un accelerazione verso un futuro di pace, ma gli accordi di Oslo durarono poco (nel 1994 i due firmatari: Rabin e Arafat ricevettero anche il premio nobel per la pace) minati internamente dalle frange più integraliste dei due popoli.

Oggi la situazione è cristallizzata in uno stallo che viene mantenuto tale anche dagli attori politici, che sono da circa 20 anni sempre gli stessi: da una parte, quella palestinese, Hamas, un organizzazione/partito/esercito che si rifà al fondamentalismo sunnita (il nome significa gli zelanti) e che ha nel proprio statuto l’annientamento dello Stato di Israele; dall’altra Netanyahu e il suo partito Likud, conservatore e molto vicino all’ortodossismo ebraico (nell'attuale governo la coalizione coinvolge due partiti ultraortodossi) che ha da sempre soffiato sulla tensione etnica presente nella regione.


La storia di questo conflitto ci porta a riflettere sulla gestione di casi simili e su quanto sia inutile fare affidamento su atteggiamenti duri, che altro non fanno che radicalizzare l’altra parte, a sua volta questo comporterà una risposta violenta che renderà più intransigente l’altra parte in una continua escalation di tragedie.

La guerra è a livello economico una delle iniziative più inutili che possono essere intraprese.

Solo inizialmente vi è un illusione di creazione di valore, in frequenti casi infatti aumenta la domanda interna (si tende ad aumentare le scorte), aumenta l’occupazione e i profitti (specie nelle industrie pesanti, che diventano strategiche in una economia di guerra).


Ma alla lunga diventano maggiori gli effetti distorsivi o effettivamente negativi della guerra: primo fra tutti la distruzione che comporta la guerra, sia dal lato del capitale umano che viene annullato (normalmente si tratta della fascia di popolazione maggiormente attiva, il che comporta degli scompensi nella futura evoluzione demografica) che da quello delle infrastrutture, si stima che in media servano almeno 5 anni per veder tornare la produttività almeno ai valori pre bellici.

Inoltre, fra gli eventi maggiormente negativi di una guerra, rientra la creazione di una forte inflazione.

Le guerre sono costose e possono essere finanziate principalmente in quattro modi: il primo è quello oggigiorno più residuale ed è quello della raccolta di donazioni, i costi e i livelli tecnologici delle guerre moderne lo rendono inutile ai nostri tempi, ma nel passato è stato utilizzato, basti pensare che le crociate sono state sempre realizzate in questa maniera.

Il secondo è aumentando le tasse, le tasse bruciano parti delle economie e in taluni casi servono a redistribuire i livelli di redditi e quindi mantengono prettamente inalterato il potenziale economico di uno Stato, ma quando non ci sono benefici diretti il rischio è quello di perdere competitività alla lunga, oltre ad essere una leva di destabilizzazione sociale, basti pensare che la rivoluzione francese inizia proprio dalla mancanza di fondi nelle casse statali e dalla volontà del re di imporre nuovi dazi.

21 gennaio 1793 l’esecuzione di Re Luigi XVI

Il terzo metodo è l’emissione di debito pubblico, lo strumento del debito pubblico è molto delicato, da una parte ci sarà da vedere chi comprerà il debito, in caso di acquisto da parte di un pubblico non interno ci potrebbero essere delle problematiche collegate all'indipendenza, inoltre l’aumento di maggior spesa dovuta all’indebitamento comporta un aumento dell’inflazione a cui segue un impennata nella disoccupazione. Un esempio empirico lo troviamo nel Regno Unito post guerre napoleoniche (che hanno vinto) con una disoccupazione oltre il 12% nonostante si trattasse della prima potenza mondiale, livelli simili di disoccupazione furono raggiunti solo in epoca della Tatcher.

Un grafico che mostra l’andamento del debito pubblico inglese

Un ultimo metodo per finanziare una guerra è quello di creare da sé inflazione, ossia stampare moneta. Ciò accadde agli stati confederati durante la guerra di secessione statunitense per pagare i soldati e successe anche in Germania dopo la prima guerra mondiale o in Austria e Ungheria dopo la seconda guerra mondiale. Le distruzioni avevano creato la necessità di una pronta ricostruzione, col risultato di avere una iper inflazione (nel caso della Germania questa è tra le cause che porteranno alla caduta della repubblica di Weimar e alla presa del potere da parte del partito nazionalsocialista).

Germania 1923, i soldi hanno perso praticamente tutto il loro valore, tanto che i bambini ci giocano in strada

Come riportato nei casi precedenti un aspetto negativo delle guerre è anche l’innalzamento dell’inflazione, definita una "tassa occulta" che colpisce soprattutto la classe media diminuendo il valore del reddito non consumato (il risparmio) da una parte comportando un danno economico diretto e dall’altra parte andando a minare la fiducia della società nel futuro (e quindi comportando uno spostamento dei consumi e una diminuzione degli investimenti privati). Si è assistito ad un caso particolare di "inflazione da guerra" durante la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti dove, nonostante l’assenza di devastazioni sul suolo americano, vi fu un impennata inflativa dovuta all’aumento della spesa pubblica per finanziare l’intervento in Europa e Pacifico in un economia che viaggiava già a livelli di piena occupazione. Ci si trovò quindi ad avere una carenza di occupazione con conseguente aumenti nei salari (in questa fattispecie abbiamo avuto anche un caso epocale e positivo, l’aumento dell’occupazione femminile).

Grafico inflazione in USA

Inoltre in almeno un caso, quello russo, si è assistito in seguito ad ogni guerra ad una svalutazione monetaria che ha comportato una perdita negli stili di vita della popolazione russe e nel loro potere di acquisto.

Infine, quando si stima l’impatto negativo di una guerra, bisogna aver ben chiaro il concetto di costo opportunità: spendo denaro ed ho un ritorno positivo pari al 10%, ma se con la stessa cifra avessi fatto un investimento differente avrei potuto avere un ritorno del 30%. La differenza tra i due ritorni è a tutti gli effetti un costo che ho sostenuto.


Nel 2009 è stato stimato che la guerra in Iraq sia costata agli USA 860 miliardi di dollari che avrebbero potuto essere spesi nel settore delle cure/benessere e in quello dell’educazione per avere futuri ritorni economici.


Ma, a mio avviso, una storia in questo caso rende bene il concetto di costo opportunità, ossia il costo di un proiettile (tratto dal report di Oxfam Africa’s missing billions):

Dr. Walter Odhiambo, a surgeon from Kenya, tells the story of a 17-year- old Congolese boy whose jaw was shattered by a bullet. The son of a diamond prospector, he was shot by rebel soldiers who thought he had diamonds. It took him one year to raise the money from friends and family to have it treated. During this time, he kept his disfigured mouth covered. He travelled 3,000km to Nairobi for the operation to insert a steel plate into his jaw, which took nine hours and cost $6,000.

The cost of the operation is equivalent to a year of primary education for 100 children, or full immunisations for 250 children, or 1.5 years of education for a medical student.

Il costo di produzione di un proiettile varia molto a seconda del calibro e del materiale col quale è composto, ma può muoversi da 0,15 dollari fino ai 2,5 per singolo proiettile, i danni che però può causare sono di gran lunga maggiori

Una ricerca indipendente del CEPR, basata sui dati raccolti in 400 conflitti, ha stimato che le guerre producano un calo del PIL del 7% nei territori interessati dal conflitto e che (tornando all’inizio dell’articolo) i costi maggiori vengono patiti durante le guerre civili con effetti che perdurano maggiormente nel tempo, questo perchè la durata dei conflitti è mediamente più lunga e le ragioni di fondo hanno più probabilità di non essere risolte.


Per portare qualche numero andiamo a pescare dal continente più instabile, anche a causa dei confini coloniali tracciati nel corso della storia che hanno portato innumerevoli scontri etnici, alcuni ancora in corso, appunto l’Africa.

Si stima che il costo delle guerre civili nel continente africano sia pari a tutti gli aiuti internazionali arrivati nel corso degli anni, rendendoli di fatto inutili per lo sviluppo.

Nel grafico è riportato il costo (in migliaia di miliardi di dollari) della violenza nel mondo

Se prendiamo l’esempio del Burundi notiamo che, insieme alla perdita di PIL che coincide col periodo della guerra, vi è una perdita di PIL prospettico che va ad aumentare di molto i miliardi mancanti nell’economia di quel Paese, inoltre diventa evidente che più il conflitto aumenta di durata maggiore diventa l’impatto negativo.

Dal punto di vista finanziario solitamente un evento bellico innesca il meccanismo detto di flight to quality, ossia si predilige la vendita di asset rischiosi (come le azioni) a favore di beni sicuri perchè garantiti da un Paese solido (vedi le obbligazioni americane)

L’andamento del decennale americano durante il Covid (periodo di forte instabilità), in un mese si apprezzò del 5% a fronte di una discesa di oltre 10 punti dello S&P 500

oppure verso beni che hanno un loro valore intrinseco (come i beni rifugio in generale e i metalli preziosi in particolare).

Qui il movimento dell’oro nei giorni successivi l’11 settembre 2001, pensate che un anno dopo l’oro quotava a +18% mentre lo s&p500 -25%

Oppure si assiste ad un aumento del costo delle materie prime, conseguenti ad un aumento della domanda per riempire in maniera strategica gli stock in caso di shock dell’offerta.

Il grafico mensile del prezzo del petrolio durante l’operazione desert storm (la prima guerra del golfo) da notare la netta impennata appena partito il conflitto

Nel breve periodo acquisiscono valore le aziende collegate direttamente nello sforzo bellico (acciaio e armamenti) a discapito dei restanti comparti, ma sul medio periodo queste sovra performance tendono a scomparire.

Nei tre grafici si affiancano l’indice EUROSTOXX 50 e due aziende europee di armamenti la francese Thales e l’italiana Leonardo, si evidenzia una netta sovraperformance di queste ultime due

La guerra può andare a creare una problematica pesante per i mercati nella fiducia sia individuale che collettiva, in alcuni casi potrebbe esserci anche una corsa agli sportelli, con un conseguente impatto negativo sulle banche e su tutte le aziende medio piccole. Infine, la cosa che maggiormente spaventa i mercati è l’incertezza: in occasione di eventi bellici si assiste ad un aumento del VIX ossia l’indice della paura (in realtà calcola la volatilità delle opzioni sul mercato americano). Nei casi più gravi è stato deciso di chiudere le contrattazioni per una o più giornate, per evitare vendite dettate dalla irrazionalità temporanea (vedi dopo 11/09 chiusura per Wall Street che durò una settimana oppure la borsa russa dopo l’invasione ucraina).


Nel caso di questa settimana in realtà non è successo nulla di tutto ciò, i mercati credono (o scommettono) che il conflitto resterà confinato nella regione medio orientale e che la stabilizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo (vedi Egitto e Arabia Saudita su tutti) abbia comportato un ridotto rischio di guerre petrolifere a supporto della causa palestinese (che sembra isolata come mai prima d’ora). Oggi i mercati sono molto più preoccupati dai movimenti dei banchieri centrali che restano il loro centro di gravità (o incertezza) permanente.

Resta sempre valida la regola aurea che una corretta diversificazione (sia su base geografica che di settore e asset class) ci può permettere di superare nella maniera più confortevole possibile le turbolenze che ciclicamente arriveranno sui mercati.


Personalmente credo che la guerra sia un inutile retaggio che l’uomo porta con sé e poco importa chi ha iniziato o chi ha più ragioni, questi pensieri servono solo come alibi per le prossime violenze, l’unico modo per spezzare la catena di violenza non è fare un passo indietro ma farne uno incontro.

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