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La Rinuncia Italiana alla Via della Seta Cinese: Un Indicatore dei Tempi Che Cambiano?

Questa settimana, Antonio Tajani, ministro degli esteri, ha confermato l'uscita dell'Italia dall'iniziativa cinese sulla nuova via della seta. Tutto ha avuto inizio nel 2019, quando, con una mossa a sorpresa, l'allora presidente del consiglio Giuseppe Conte decise di siglare un memorandum per inserire l'Italia all'interno del gigantesco progetto cinese voluto da Xi Jinping: la Belt and Road Initiative.

Parlo di scelta sorprendente perché l'Italia è stata l'unica nazione europea e unica nazione facente parte del G7 ad aver aderito a questa iniziativa, che, oltre ogni cosa, è, come vedremo più avanti, un'iniziativa cinese per espandere la propria influenza politica.


Anche se il 2019 dista da noi solo 4 anni, il mondo è completamente differente: l'Europa era lasciata sola dal suo più importante alleato, l'America, che, governata da Trump, applicava il mantra repubblicano dell'allontanamento dalla politica estera "più distante" e, nello stesso tempo, apriva un contenzioso politico proprio con la Cina, che invece appariva come la nuova super potenza pronta a stendere ponti d'oro a nuovi alleati. Poi però è arrivato il Covid che ha stravolto tutto, l'atteggiamento poco conciliante cinese, le sue difficoltà economiche, il cambio di presidenza negli Stati Uniti e la guerra russo-ucraina che ha portato a un'inaspettata compattezza tra le nazioni europee.


Senza un'iniziativa italiana, il memorandum si sarebbe automaticamente rinnovato e avrebbe portato il governo incaricato a problemi politici, sia in seno all'Europa sia con l'alleato atlantico, il tutto in un momento di forte instabilità. Serviva quindi una presa di posizione che servisse a "dichiarare" in quale campo si intendesse stare (quello occidentale) e al contempo non indispettisse un mercato fondamentale sia oggi che in prospettiva. La fortuna ha voluto che questo fosse il momento ideale.


Ma andiamo con ordine. La Via della Seta è stata una delle rotte commerciali più importanti della storia, che collegava l'Asia all'Europa. Si estendeva per circa 8.000 km, costituita da itinerari terrestri, marittimi e fluviali lungo i quali si snodavano i commerci tra l'Impero cinese e l'Impero romano. Le Vie Carovaniere attraversavano l'Asia centrale e il Medio Oriente, collegando Chang'an (oggi Xi'an) Luoyang in Cina, all'Asia Minore e al Mediterraneo attraverso il Medio Oriente e il Vicino Oriente. Le diramazioni si estendevano poi a est alla Corea e al Giappone, e a sud, all'India.

Il nome "Via della Seta" deriva dal fatto che la seta era uno dei prodotti principali scambiati lungo questa rotta commerciale. Tuttavia, la Via della Seta non era solo una rotta commerciale, ma anche un ponte culturale tra l'Oriente e l'Occidente. Attraverso questa rotta, le idee, le religioni e le culture si diffondevano in entrambe le direzioni.

La Via della Seta ha avuto un ruolo importante nella storia dell'umanità, poiché ha favorito lo scambio di merci, religioni e culture tra Asia ed Europa. È la rotta commerciale intrapresa sul finire del 1200 da Marco Polo e raccontata nel "Milione" che lo portò nel Catai. Da qui parte la strategia di Xi Jinping, di richiamare alla mente dei cinesi una strada quasi mitica e nella cui epoca l'impero Cinese era tra i più importanti nel mondo e centrale nella politica (la stessa parola Cina significa terra di mezzo), calandola nella modernità.


La Belt and Road Initiative (BRI), nota anche come One Belt One Road (OBOR), è una strategia di sviluppo globale delle infrastrutture adottata dal governo cinese nel 2013, che mira a investire in oltre 150 paesi e organizzazioni internazionali si passa per tutta l'Asia, arrivando in Africa e appunto in Italia. L'obiettivo principale della BRI è quello di migliorare la connettività e la cooperazione su scala transcontinentale, attraverso la costruzione di infrastrutture come strade, ferrovie, porti e gasdotti. L'iniziativa è stata progettata per promuovere lo sviluppo economico e l'integrazione regionale, nonché per rafforzare i legami commerciali tra la Cina e il resto del mondo. La Cina sostiene che la BRI è un'iniziativa aperta e inclusiva, che mira a promuovere la cooperazione internazionale e lo sviluppo condiviso.

Per soft power si intendono tutta una serie di azioni politiche messe in campo per persuadere gli esterni. Queste azioni fanno parte delle risorse intangibili. Per esempio per decenni gli USA hanno usato Hollywood per attuare il soft power. Il fautore di questa teoria è Joseph Nye

Ci troviamo di fronte a un'imponente opera di soft power volta da un lato a ripulire l'immagine cinese nel mondo e a imporre alcuni suoi tratti culturali, dall'altro ad imporre la propria sfera di influenza economica e politica al di fuori dei confini nazionali. La via della seta prevede progetti volti allo scambio delle merci e che il più delle volte sono a vantaggio cinese o per favorire importazioni di materie mancanti nel Paese, si pensi ai miliardi di dollari investiti in Africa e in Sud America per confermare l'egemonia nella produzione di batterie accaparrandosi le miniere dei metalli rari.

Il predominio cinese su tutto ciò che riguarda la transizione energetica è indubbio

Oppure per avere nuovi mercati dove esportare prodotti cinesi, in questo caso l'Italia è un buon esempio; infatti, dal 2019, anno del memorandum, i rapporti commerciali con la Cina sono si aumentati ma a tutto vantaggio degli orientali.

Sono si cresciute le esportazioni in Cina (più di Francia e Germania) ma sono aumentate molto di più le importazioni dalla Cina

In taluni casi, gli investimenti sono erogati sotto forma di prestiti agevolati, che però possono diventare insostenibili per gli Stati più piccoli. Il caso studio è quello del nuovo porto di Colombo in Sri Lanka, divenuto insostenibile per il governo cingalese e costringendolo a cedere la gestione dell'80% del porto a una società cinese. La paura dell'area è che ora lo stesso porto possa essere utilizzato come base militare, un avamposto cinese nell'oceano indiano.


Smarcarsi da un'intesa con una controparte così ingombrante è stato reso possibile e più facile dalle incertezze cinesi post-Covid: un mercato immobiliare pieno di debiti e divenuto insostenibile, problemi nei consumi interni che hanno spinto il Paese in deflazione, un'economia depressa da alcune scelte politiche volte a controllare i suoi attori economici, una guerra commerciale che penalizza come non mai le aziende esportatrici di tecnologia (basti pensare a Huawei e al calo sia lato device mobili che infrastrutture 5g), e una reputazione estera infangata dagli accordi e dalle manifestazioni pubbliche di amicizia con la Russia.


Tutte informazioni che chi ha degli investimenti in Cina conosce abbastanza bene e che stanno affossando i valori di mercato degli attivi cinesi. Sono ormai 3 anni consecutivi che la seconda economia mondiale non fa sorridere i risparmiatori, la discesa è iniziata a febbraio 2021 con la prima stretta politica su alcune aziende tech (quelle ad esempio del settore education) e alle dichiarazioni di Xi Jinping a riguardo la politica della prosperità diffusa, coincisa con la sparizione misteriosa del fondatore di Alibaba Jack Ma, reo di aver rilasciato dichiarazioni non in linea con il partito e il suo leader. Anche la politica zero Covid e la scelta di non importare vaccini esteri è andata a creare incertezze bloccando in alcuni casi la supply chain mondiale.

Poi è scoppiato il caso Evergrande che ha messo in luce una situazione di ampia leva creditizia di tutto il settore immobiliare che, entrato in crisi come tutta l'economia nazionale, ha cominciato a doversi confrontare con il calo degli ordini e i primi default che a domino hanno fatto "saltare" diverse società del settore.


Ma cosa fare ora? Come trattare l'investimento? Innanzitutto bisogna tenere bene a mente che, nonostante la Cina sia divenuta la seconda economia mondiale, ci troviamo ancora in un mercato in via di sviluppo con volatilità superiori rispetto ai mercati sviluppati.


In secondo luogo, distinguiamo tra chi ha già in essere un investimento e chi sta considerando se investire. Nel primo caso, si potrebbe valutare la possibilità di incrementare l'investimento in attesa di un ritorno dei valori verso la media e pensare a un alleggerimento quando questo dovesse avvenire (cosa già successa all'inizio dell'anno, ad esempio). Gli importi dipendono dall'esposizione complessiva del portafoglio, perché in questo momento investire in Cina è ancora un'azione che va contro il mercato e lo intende anticipare (situazione molto rischiosa), ma che allo stesso tempo potrebbe beneficiare dei futuri cali di interesse in Europa e America.

Qui l’indice di Hong Kong rispetto alla sua media storica a 200 osservazioni

Se invece si sta valutando di entrare nel mercato cinese, il mio consiglio è quello di farlo con gradualità, stabilire un importo e scegliere una strategia scaglionata di ingresso (acquisti ogni calo significativo oppure ogni dato economico interessante e positivo) o un piano di investimento ricorrente (il PAC).

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